Così scriveva lo storico francese Jean Besson già nel 1958: «Il fascismo ha portato la vita politica nei paesi della Calabria; e, per questa via, paradossalmente, ha aperto la strada di una moderna democrazia nell’estremo Sud». Il fascismo fu un fenomeno autenticamente di popolo, che fece avvertire anche nella regione quello che Giordano Bruno Guerri chiama «vero e proprio terremoto legislativo e sociale». E in Calabria, regione particolarmente sensibile ai fenomeni tellurici, non poteva che lasciare il segno. La grave crisi dei partiti liberali, gli errori delle sinistre, le tensioni sociali scaturite dalla prima guerra mondiale, erano delle forti spinte al cambiamento. Le novità promesse dal fascismo, la sua penetrazione in tutti i comuni, il coinvolgimento delle donne nell’attività politica, l’inserimento dei ceti medi emergenti nella struttura del partito determinarono la creazione di un movimento di massa. Nel 1923 gli iscritti nella regione furono circa 27.000 e nel “manifesto” proposto da Croce agli intellettuali, c’era anche la firma di un giovane giornalista calabrese, Corrado Alvaro. Nelle elezioni del 1924, il Blocco Nazionale proposto da Mussolini ottiene più del 75% dei voti a fronte della media nazionale del 66.3%. Michele Bianchi, quadrumviro della marcia su Roma, ebbe un autentico plebiscito. Tuttavia i socialisti non erano ancora al lumicino: nella città di Cosenza Pietro Mancini, deputato socialista uscente, conseguì più voti di Michele Bianchi, ma meno di Tommaso Arnone che faceva parte del Blocco Nazionale e che diventò anche podestà di Cosenza, lasciando un ricordo molto positivo.
La presenza di Michele Bianchi, che era stato il primo segretario del Partito Nazionale Fascista nel 1921, rappresentò un elemento positivo per la Calabria, tanto che di lui si è scritto che da ministro dei Lavori Pubblici (carica ricoperta tra il 1929 ed il 1930, anno della morte) avrebbe «favorito eccessivamente la sua regione».
In effetti le opere del regime trassero la Calabria dall’antico isolamento. Certamente tantissimi problemi restarono irrisolti, ma in quei vent’anni si fece più di quanto era stato fatto dall’Unità in poi. Parte significativa della vecchia classe dirigente liberale aderì in Calabria al nuovo regime, così come avvenne in tutto il Paese. In questo periodo la “questione calabrese” venne affrontata dal nuovo regime. Nel 1923 fu Michele Bianchi che, insieme ad Achille Starace, inaugurava il Parco Nazionale della Sila, dove nel 1932 terminarono gli imponenti lavori dei bacini. Vennero creati i laghi artificiali dell’Ampollino, del Savuto, del Cecita e dell’Arvo che producevano un’imponente massa di energia elettrica. A Crotone nacque il primo polo industriale della regione, con gli insediamenti della Pertusola e della Montecatini, che impiegarono fino a 2000 addetti.
Soprattutto tra il 1926 ed il 1931 ci furono investimenti colossali nelle opere pubbliche, che riguardarono le opere di bonifica, le costruzioni stradali, la ricostruzione dei centri terremotati. I “1000“chilometri di strade calabresi in cinque anni annunciato nel 1924 vennero conclusi solo con qualche anno di ritardo. Nella realizzazione delle opere pubbliche furono migliaia le persone che trovano occupazione. Vennero completati i lavori delle ferrovie interne, gestiti poi dalle Calabro-Lucane, che rappresentano dei collegamenti ancora oggi, per alcuni tratti, fondamentali. L’opera di sbaraccamento dei terremotati venne conclusa. La “battaglia del grano” determinò un consistente aumento della produzione.
Per dare maggiore efficienza organizzativa, vennero aggregati numerosi comuni: nacque così la “grande Reggio” che comprese i centri vicini, diventando una delle prime venti città del Regno. Infine la bonifica delle zone malariche fu quasi completamente risolta e riguardò oltre 400.000 ettari, soprattutto nelle pianure di Sibari, di S. Eufemia e nella valle del Crati. Nella piana di Lamezia sorse una città, S. Eufemia, che costituì l’ultima, significativa tappa del viaggio che il duce fece in Calabria nel marzo del 1939, accolto da adunate che allora venivano definite “oceaniche”. «La politica era per Mussolini», come ci ricorda Marcello Veneziani, «storia in movimento». Scolarizzazione, mobilità sociale, coinvolgimento nella capillare organizzazione del partito rappresentarono lo sviluppo della Calabria in questa fase.
E’ evidente che gli elementi negativi che caratterizzarono la politica fascista, e su tutti la scelta della guerra, lo scellerato patto con Hitler, la limitazione delle libertà, la politica razziale, determinarono l’inevitabile caduta di Mussolini. A parte qualche purga e qualche bastonata, il regime non aveva offerto nella regione prove di particolari scelleratezze. Anzi, in Calabria il fascismo aveva dato «l’illusione di una sollecitudine governativa e, per la prima volta, un’impressione di importanza politica».Insieme alle esagerazioni di qualche gerarca, la memoria di alcuni uomini ancora positivamente resiste nel ricordo dei calabresi. Forse sono gli unici politici dei quali, insieme a Giacomo Mancini, il popolo calabrese serbi un positivo ricordo. Oltre ai già citati Arnone e Bianchi, al quale i suoi concittadini di Belmonte hanno eretto un mausoleo, c’è Luigi Razza, morto nel “cielo de Il Cairo” il 5 settembre 1935. Era ministro dei Lavori Pubblici dal 24 gennaio dello stesso anno. A Vibo Valentia, sua città natale, che egli voleva nuovamente provincia, c’è un monumento in suo onore di fronte al Duomo di S. Leoluca.
Calabrese era anche Carlo Scorza, il segretario nazionale del partito fascista del 25 luglio 1943.
Tra il 1935 e il 1936, Cesare Pavese venne inviato al confino in Calabria. Nei suoi diari annotò: «La gente di questi paesi è di un tatto e di una cortesia che hanno una sola spiegazione: qui, una volta, la civiltà era greca». Questa esperienza del confino, “traspare disincantata” soprattutto all’interno di Prima che il gallo canti e poi nel racconto Terra d’esilio. Sul finire degli anni Trenta venne costruito in Calabria, in territorio del comune di Tarsia, un campo di concentramento, dove vennero ospitati soprattutto ebrei. Entrato in funzione il 20 giugno del 1940, operò fino al settembre del 1943. Nel periodo di attività, la presenza media era di 1.000 persone. Il trattamento fu molto umano da parte delle autorità e anche della popolazione circostante. Uno dei responsabili del campo, il commissario Paolo Salvatore, venne premiato con una medaglia d’oro sul finire degli anni Ottanta. Di questo lager nella regione non se ne era praticamente accorto quasi nessuno, tanto che solo nel 1984 il Consiglio Regionale della Calabria decise le prime iniziative. Ma è stato proprio durante il Ventennio che la riscoperta del patrimonio archeologico della Magna Grecia ha ricevuto impulsi rilevanti. Dal 1925 al 1936 Edoardo Galli diresse la Sovrintendenza della Calabria, e, seguendo l’esempio del suo predecessore Paolo Orsi, fece cose importantissime: stabilì il sito di Laos, diede un fondamentale impulso all’individuazione di Sibari e fece edificare nel 1932, su progetto di Marcello Piacentini, il Museo di Reggio. Nello stesso anno, venne scavata al “Parco del cavallo” la presunta sede di Sibari da Umberto Zanotti-Bianco, il quale nel 1925 aveva scritto Il martirio della scuola in Calabria, che aveva suscitato viva attenzione sull’arretratezza del sistema educativo. Fu arginata l’emigrazione della regione e venne ridimensionato quel fenomeno della ‘ndrangheta che non aveva le dimensioni allarmanti della mafia siciliana, per combattere la quale il regime aveva inviato nell’isola Cesare Mori, il prefetto di ferro. Ed erano quelli gli anni in cui iniziava la sua paziente opera di studio il tedesco Gerald Rohlfs, il più importante studioso della lingua calabrese. La sua tesi più originale, variamente contestata, è stata quella che la parlata riscontrata in alcuni paesi interni del reggino discendesse dagli antichi Greci. L’avventura coloniale in ritardo portò 8.000 calabresi in Etiopia. In definitiva la Calabria è la regione da dove emerge, forse con la più grande evidenza, quello che ha per tanti anni scientificamente sostenuto, tra infinite polemiche, Emilio De Felice e che Giuseppe Prezzolini aveva scritto fin dal 1948: «Il fascismo fu formato, diretto, accettato e sostenuto da Italiani». E in più, la Calabria non era stata investita da un movimento antifascista, per nulla dalla Resistenza e dalle persecuzioni razziali ed era stata interessata solo marginalmente dalla guerra combattuta. Anche per la seconda guerra mondiale, però, la Calabria pagò un duro tributo di sangue con migliaia e migliaia di morti.
Fonte: Calabriamia